sabato 2 febbraio 2013

Perdendosi in un tipo di blu

Kind of Blue di Miles Davis è forse l'opera più rappresentativa e sincera di jazz modale che sia stata mai scritta. L'essenza di improvvisazione si manifesta in tutta la sua meraviglia: come riportato da Bill Evans, Miles Davis diede alla band solo delle bozze contenenti le linee melodiche sopra il quale bisognava ognuno doveva improvvisare, basandosi solo su brevi istruzioni per ogni pezzo da lui impartiti poco prima di registrare. O almeno, così la legenda vuole. Ma non è per questo, nè per l'incredibile formazione ed esecuzione (anche se Adderley, Cobb, Evans, Chambers, Coltrane e Davis, probabilmente, non hanno mai raggiunto vette così in tutta la loro carriera), e neanche per l'impatto o il ruolo che ha avuto nella storia di questo genere e della storia della musica moderna in generale.
Il motivo sta nel fatto che mi trasmette sensazioni sempre nuove, diverse, ma che si basano su quello strano senso di tranquillità capace di mettere ordine e dare una descrizione ad un caos interiore che, normalmente, cresce e genera ulteriore confusione, innestando un circolo vizioso. Quest'album per me è, quindi, come piccolo santuario nella quale rifugiarmi quando lo stress e la stanchezza mentale diventano quasi opprimenti, insostenibili. Penso però che senza vera condivisione, le cose vissute non possono essere colte o apprezzate fino in fondo; che non riescano a essere percepite con la giusta concretezza e intensità che altrimenti avrebbero.
Io personalmente non so come poter trasmettere ciò che questo album riesce a farmi provare e sentire, e neanche come descriverlo o condividerlo con altri, perché le parole non bastano, non servono, non hanno la giusta potenza espressiva o evocativa: sono prive di empatia. Perciò posso farlo solo tramite le immagini che mi evoca, cercando tramite queste, unite a questa musica che regola il silenzio delle pause, di suscitare quel senso di tranquillità ordinante su cui si basa ogni nuova sensazione che l'ascolto produce.
Quindi ora, caro lettore, prova a rilassati, e...





"Prova a immaginare, nei sogni,
luci di città in movimento ma cristallizzate nel tempo,
e far tua quella visione di una Manhattan quasi immobile nel suo fluire:
i lampioni che si fondono con gli anabbaglianti delle automobili
e diventano un tutt'uno con le illuminazioni dei palazzi;
cerca di percepire la malinconica magia che risiede in quell'immagine,
E interiorizzala.
Ora in contrapposizione a questo,
immagina i tuoi pensieri, le parole che li costituiscono
che si disperdano nell'immensa profondità della notte
illuminata da lucciole, e non importa che siano
naturali forme di vita, artificiali cianotici bagliori stradali
che rischiarano il buio di una provinciale, o le milionarie scintille astrali
che corteggiano una luna che gioca a nascondino con l'ombra di questa terra.
E ora con l'infinita notte dentro di te
e l'eco dei tuoi pensieri che si disperde
nel riflesso esteriore del tuo riflettere interiore
(il mondo che si nasconde al sole ma lo richiama),
accendi la musica,
"Un Genere di Blu" o di Malinconia,
e lascia sfumare la tua anima al suono di quella intimistica melodia,
lasciala viaggiare nella notte,
lasciala volare libera di sentire, di ascoltare e comprendere,
di percepire e provare, di sognare e divenire,
una scheggia lenta che attraversa lo spettro quieto delle emozioni
che prendono consistenza, perché il jazz è empatia e flussi di coscienza.
Accendi ora la musica e chiudi gli occhi:
che il viaggio inizi!"