giovedì 26 dicembre 2013

Il primo scritto, risalente a mezza vita fa, pensando a un'ombra lucente


Passavo ogni vespro ad osservare la lenta discesa del sole che calava sotto la linea dell’orizzonte. Intravedevo la sfera infuocata tra le folte chiome degli alberi, vedevo il cielo cadere lentamente in un baratro di tenebre, seguito da una spenta luce arancione, come gli ultimi battiti di coda di una creatura morente. Solo otto minuti bastavano per far scomparire quella debole fiamma, dopo che l’astro aveva compiuto il suo arco nella volta celeste.
In quei momenti ero sempre stato da solo, con i miei pensieri, con le mie paure, con i miei sogni e miei progetti futuri. Il tramonto per me aveva un significato quasi magico, era un momento mistico, in cui pensavo alle grandi domande che ci tormentano.
"Cos’è l’amore, cosa si prova quando si viene impadroniti di questo sentimento? Quando t’invade l’animo, quando non pensi ad altro che alla persona che si ama, ed è l’unica cosa che per te è importante?"
"Perché siamo in questo posto chiamato mondo? Perché ci hanno donato la vita?"
I minuti in quei momenti eterni, sembravano correre impazziti, ma ogni tramonto sembrava interminabile, perché io volevo che non finisse mai. Io volevo rendere eterni quegli attimi, ma se non ce l’ho fatta nella realtà, essi lo sono diventati solo nella mia inalterata memoria.
Quei giorni passavano lenti e uguali tra di loro, come se tutto fosse sempre stato così e che sarebbe durato in eterno, ma da una notte di molti anni fa non avrei mai passato alcun tramonto solo con me stesso. Quel giorno, sotto la luce che si spegneva e la luna che illuminava il sentiero, per la prima volta quel giorno, con quella atmosfera tratta da un sogno, alzai il volto in avanti e incrociai il tuo sguardo e il tuo sorriso. Nel lento e lungo cammino che separava noi due dalle nostre abitazioni, parlavamo di noi e io venni a conoscenza che io e te eravamo molto simili. Non c’importava quello che pensavano gli altri, non c’importava niente delle cose materiali, l’unica cosa che contava in quel momento era che eravamo insieme.
Da lì in poi, per lunghe decadi, al tramonto ci siamo sempre ritrovati, e abbiamo condiviso momenti che solo in un sogno avrebbero potuto essere più belli. Ad ogni vespro, ci sentivamo sempre più vicini, sempre più uniti.
Il tempo con te passava veloce.
Dopo il vespro la sera. Un sottile spicchio di luna illuminava il buio cielo che ci sovrastava, in cui nere nubi coprivano ogni cosa tranne quel astro e la sua flebile luce. Una leggera brezza accarezzava le tue delicate guance divenute rosse, forse per il freddo o per altro, e muoveva le foglie morte che lentamente cadevano a terra, aggiungendosi al fruscio che accompagnava il sordo lamento del vento. In quei momenti, quando io e te eravamo l’uno nelle braccia dell’altra, sentivo il tuo leggero respiro e il battito rapido dei nostri cuori, che in quei momenti sembravano intenti a riprodurre il suono di una mandria che correva impazzita. Ti tenevo stretta tra le mie braccia, nel desiderio comune di fermare la corsa del tempo, che quel attimo divenisse infinito. Sarei potuto morire in quel momento, e sarei stato comunque felice. Felice di sapere che in quel cielo così scuro, la tua scura chioma dai lucenti riflessi libera al vento, guidava ogni cosa e la illuminava di luce impropria, come la luna. Quel momento durò pochi secondi, o forse pochi minuti, ma ogni giorno, poco prima del tramonto, il mondo spariva tranne quel piccolo angolo verde sperduto nel paradiso terrestre che faceva da sfondo alle nostre sensazioni e rispecchiava i nostri sentimenti. Ogni giorno con il caldo d’Estate, nei colori dell’Autunno, tra luci delle stelle dell’Inverno, e l’odore dei fiori di Primavera, io e te ritornavamo alle origini, quando era mondo era appena nato, e nessuno vi abitava in quel paradiso.

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