Gli strumenti più comuni per uno
scrittore sono essenzialmente quelli che permettono di comunicare in generale,
non solo in forma scritta. Questi strumenti sono: la lingua, il vocabolario e
la grammatica.
La lingua
Ogni lingua ha una capacità
espressiva diversa e nel lettore evoca sensazioni diverse, e spesso è la scelta
di quale tra le molte esistenti al mondo a rendere vincente un’opera.
Ad esempio, la raccolta I Fiori del Male di Baudelaire avrebbe
tutto un altro impatto se non fosse scritta in francese, lingua che viene
percepita generalmente come dolce, ed è la contrapposizione tra questa sensazione
e il significato, spesso grottesco e claustrofobico delle strofe, a rende la
sua poesia unica e affascinante.
Nelle lingue più comuni per la
letteratura, si può contemplare l’inglese, la quale è una lingua molto ritmica,
piena di verbi e soggetti monosillabici, capaci di rendere l’opera più
orecchiabile e vicina alla tradizione orale, come dimostrano alcuni passaggi di
Steinbeck in Furore; oppure il
tedesco che, con la sua capacità di
mettere insieme termini per creare nuove parole dal significato esplicitato e
l’insieme di suoni dolci e forti, può dare origine a grandi narrazioni ricche
di fascino, forma e concetto come Le
Affinità Elettive di Goethe; o ancora il russo, che già nell’alfabeto
stesso mostra una maggior precisione e cura dei suoni, dando quindi allo
scrittore stesso una maggior predisposizione per la cura dei dettagli e
dell’espressività dei singoli personaggi… e l’elenco potrebbe continuare con
tutte le lingue del mondo. Non per forza si deve però usare una lingua
piuttosto che l’altra, ma anche più di questa in un’opera solo a seconda
dell’uso e dei casi, anche se ovviamente questo diminuisce drasticamente la
comprensione del testo.
Qualunque sia l’idea e le
sensazioni che volete comunicare, conoscere i punti di forza di una lingua non
è un modo per invitarvi a impararne una nuova o a esprimervi in una di cui non
avete confidenza, ma nel sapere quali sono i punti deboli e quali quelli forti
delle fondamenta del vostro modo di esprimervi, per poterli usare al meglio.
Pensateci: le basi della grande letteratura italiana nascono dai dialetti,
chiamati “volgari” (nel senso del popolo), ed era la lingua parlata da tutti;
ciò che rende grandi opere come la Divina Commedia è l’aver tratto il massimo
che potesse offrire la propria lingua madre.
Il vocabolario
Se sulla scelta della lingua da
utilizzare quindi non ne abbiamo troppa, abbiamo però la quasi totale libertà su
come usarla, modellarla e plasmarla come meglio ci conviene per mettere sul
foglio (di carta o digitale) le nostre idee e/o la nostra storia.
Il più comune di questi strumenti
è il vocabolario; non la sua vastità, il numero di parole che si conosce, i
termini tecnici o quant’altro, ma l’insieme delle parole che si sanno usare e
padroneggiare in modo consono per esprimersi in modo efficace. Ovviamente più è
ampio più possibilità avete, ma le dimensioni di esso contano poco se non sapete
usarlo a dovere: e non si sta parlando di correttezza nell’uso delle singole
parole, ma del modo in cui esse comunicano, e questo perché, citando sempre
King:
“La parola è solo una rappresentazione del significato; anche nel
migliore dei casi, la scrittura resta quasi sempre un passo indietro rispetto
al significato”.
- On Writing, Stephen
King, pag. 112
Se questo non vi convince,
pensate all’efficacia comunicativa dello slang e di come certe poesie lo
utilizzino per rendere meglio ciò che stanno descrivendo. Un esempio lampante è
la poesia Urlo di Allen Ginsberg,
nella quale addirittura rende delle onomatopee, dei verbi, così da conferire al
componimento la melodia e la visualizzabilità di cui ha bisogno.
Tenete anche a mente che ogni
ricercatezza e ogni tecnicismo, se non necessario, mina la facilità di
comprensione e l’immediatezza del testo, entrambe fondamentali per arrivare al
cuore e alla mente di ogni possibile lettore.
Prima di passare oltre, vorrei chiudere
con un consiglio dato dallo stesso Stephen King sempre tratto dalla stessa pagina
della sua autobiografia di mestiere:
“usate sempre la prima parola che vi viene in mente, se è appropriata e
colorita”,
che non è un invito ad usare un
linguaggio scurrile, ma non perdersi nell’esattezza del termine da usare,
perché quasi sicuramente, il primo che trovate comunicherà meglio quello che
volete dire rispetto ad ogni artifizio trovato a posteriori (perché, per come
la vedo io, ogni cosa post-, ha un che di posticcio o falso). Se non vi
convince, allora non è appropriata, e allora riscrivete, ma sempre con la
massima spontaneità del pensiero.
La grammatica
Che si può dire della grammatica?
È quella che s’impara alle superiori e che, se non si è fatta propria, si può sempre
imparare riprendendo in mano un qualsiasi manuale delle scuole medie che tratti
di l’analisi logica, quella del periodo e la sintassi, e le varie forme verbali
(perché si sentono troppi orrori in giro, soprattutto per quanto riguarda le
forme passive, il congiuntivo e il condizionale).
So che può sembrare una cosa
noiosissima, ma non è sufficiente conoscere e saper quando usare le parole del
nostro vocabolario, perché la comunicazione si compone di tutte le varie parti
del discorso (in futuro probabilmente ci farò un post su queste), ma si organizza
a partire dalle regole della grammatica sul quale tutti conveniamo: in mancanza
di queste regole, si può generare confusione e incomprensione.
Chiunque di voi potrebbe citarmi
personaggi che si fanno capire benissimo infischiandosene della grammatica,
come Yoda della saga di Star Wars, ma
vi sono anche casi di scrittori che, volendola ignorare o plasmare a piacimento,
si sono ritrovati in piena crisi su come impostare la frase. Vorrei citare uno
degli episodi più noti di Joyce che, trovato riverso sullo scrittoio in
atteggiamento di profonda disperazione, nel rispondere a quale fosse la causa,
rispose che aveva scritto solo sette parole quel giorno (cosa già buona per
lui), ma che non sapeva in che ordine andavano messe.
Questo per dire, con le parole di
William Strunk: “Se non è certo di fare bene, [lo scrittore] farà meglio a
seguire le regole”, perché “La grammatica non è solo una rogna; è anche il
bastone al quale aggrapparvi per rimettere in piedi i vostri pensieri e farli
camminare”[1].
La moltitudine di regole può
spaventare, e a leggere libri come quelli dei due autori citati (quello di Strunk,
scritto insieme a White, è The Elements
of Style) si trovano molti altri consigli e regole come evitare la forma
passiva o eliminare ogni avverbio perché il loro uso dimostra la paura di non
essere stati chiari, ma vi è sempre il salvagente della grammatica per ogni emergenza:
la frase semplice soggetto-predicato, con al massimo il complemento oggetto.
Questa costruzione può tirare fuori d’impiccio quando non si trova il modo di dare
forma a un pensiero.
Considerazione sulla materia
della scrittura
Concludo questo livello con un’analogia,
se può esservi utile, di quanto trattato e una piccola considerazione.
Potete vedere le parole come gli
atomi (o le molecole) che compongono gli elementi della tavola periodica che è
il vostro vocabolario, mentre le regole della grammatica sono i legami che
forgiano la materia[2]
che risulterà essere il vostro paragrafo scritto (sul perché sia il paragrafo e
non il periodo ci spenderò qualche parole quando tratterò il secondo livello).
In tutto questo, voi sarete come dei fabbri che forgiano il paragrafo
modellando una lega nota, o creandone una nuova, personale, usando magari la
vostra intera cassetta degli attrezzi, e non solo il primo livello: perché tale
cassetta, in fondo, è solo il bagaglio delle vostre conoscenze applicabili in
modo utile e creativo al mestiere di scrivere (o di esprimersi e dialogare in
generale); e se siete dei linguisti o esperti di semiotica, come Umberto Eco,
perché non dovrete usare le vostre conoscenze per plasmare le parole e la
grammatica stessa alle vostre necessità, così come chimici e fisici fanno con
la materia composta da atomi e molecole?
Scrivere è comunicazione e, come
ogni attività umana, è dunque difficilmente segregabile interamente in regole e
discipline senza che vi siano eccezioni o modi per aggirare tali regole, e i
libri dei vari Thoman Pynchon e James Joyce sono sempre qui a ricordarcelo.
Ora sta a voi decidere come usare
al meglio tale primo livello in ogni momento, non solo per la scrittura, ma
anche nel parlato; e se ancora avete dubbi, e volete a tutti i costi ampliare
il vostro vocabolario o migliorare l’uso espressivo della grammatica, non vi
resta che leggere: leggere molto, di qualsiasi cosa (narrativa e saggistica,
prosa e poesia, piuttosto che articoli giornalistici) e in qualsiasi forma (e
con questo intendo anche audiolibri, in caso), senza scuse, perché, se non
avete tempo e/o non avete l’interesse di leggere cose su l’argomento o il
settore di cui la vostra opera tratta, mi spiegate come perché mai volete
scriverci su qualcosa?
[1]
On Writing, Stephen King, pag. 116
[2]
In questa analogia, i legami intramolecolari sarebbero come le regole applicate
dall’analisi logica, mentre quelle applicate dall’analisi del periodo, cioè la
sintassi, sarebbero i legami intermolecolari: gli apostrofi sono una via di
mezzo tra le due cose, esattamente come il legame a ponte idrogeno (o legame H)
che si avvicina al legame ionico.