lunedì 29 febbraio 2016

Un Eco "Nel segno delle parole"

Facendo sei passeggiate nei boschi narrativi,
Tra storie di terre e luoghi leggendari,
Guidati dalla misteriosa fiamma di una regina di nome Loana
Che illumina di immagini la nebbia della memoria
Proveniente dall’isola del giorno prima,
Noi, apocalittici e integrati, in cerca di segni,
Tra le lapidi del cimitero di Praga,
In ricordo di Baudolino,
Osservando un pendolo che oscilla
E che ci ricorda che il tempo passa e il mondo gira,
Sentiamo tra gli ululati del vento, una voce
Nel mormorio di stelle & stellette della Via Lattea:
Qualcuno lassù ci chiama:
Un Eco nella parola scritta
Nei segni di una lingua che evolve
E che, nel suo modo di esprimersi
Con una struttura assente,
Riusciamo, in qualche modo,
A scorgere il tuo eco,
Che si rispecchia letteralmente
In ogni opera aperta
In cui noi lettori facciamo parte
E tramite essa possiamo arrivare a te, grande autore
E non essere più
Un semplice numero, zero,
Ma parte integrante di quella raffinata arte.


In cerca di una poetica che sia un riso
E non solo un’aristotelica tragedia,
In questo misto di ironia e forma incerta,
Perché in questo cordoglio
La forma non può contenere il messaggio
Che cerca di straripare dal linguaggio utilizzato
E dai segni in cui è dipinta,
Questo testo nelle rete viaggia
In forma di stato
Su un social-media
Da te tanto disprezzato.


Addio grande pensatore,
Grande filosofo,
Grande scrittore,
Uomo immerso nel nostro tempo,
Ti porgo il mio saluto
In forma di scrittura
Dalla periferia dell'impero,
Così che tu possa scorgere
Ogni convenzione che mente
Sulla mia intenzione,
E nei limiti dell'interpretazione,
Giungere a passo di gambero
Al messaggio di questo testo.


E ti chiedo scusa per questo pezzo
Degno forse di apparire nel compendio
Della storia della bruttezza,
E non nel mio diario minimo.
Forse mi sono fatto prendere troppo
Dalla vertigine della lista,
O dal semplice citazionismo;
Forse mi sono perso
Tra i labirinti della parola
E la parodia del verso,
Ma spero non ti porti
A ulteriori riflessioni sul dolore,
Ma attraverso la memoria vegetale,
Da te decantata e inseguita,
La bibliofilia e l'amore per la vita.

- Tratto da Diary of a Mind, testo n° 266 - Un Eco Nel segno delle parole, di Lorenzo Gandini (in arte Labhrás Kain)

sabato 6 febbraio 2016

La cassetta degli attrezzi dello scrittore 2 - Il primo livello: strumenti di espressione



Gli strumenti più comuni per uno scrittore sono essenzialmente quelli che permettono di comunicare in generale, non solo in forma scritta. Questi strumenti sono: la lingua, il vocabolario e la grammatica.


La lingua


Ogni lingua ha una capacità espressiva diversa e nel lettore evoca sensazioni diverse, e spesso è la scelta di quale tra le molte esistenti al mondo a rendere vincente un’opera.

Ad esempio, la raccolta I Fiori del Male di Baudelaire avrebbe tutto un altro impatto se non fosse scritta in francese, lingua che viene percepita generalmente come dolce, ed è la contrapposizione tra questa sensazione e il significato, spesso grottesco e claustrofobico delle strofe, a rende la sua poesia unica e affascinante.

Nelle lingue più comuni per la letteratura, si può contemplare l’inglese, la quale è una lingua molto ritmica, piena di verbi e soggetti monosillabici, capaci di rendere l’opera più orecchiabile e vicina alla tradizione orale, come dimostrano alcuni passaggi di Steinbeck in Furore; oppure il tedesco  che, con la sua capacità di mettere insieme termini per creare nuove parole dal significato esplicitato e l’insieme di suoni dolci e forti, può dare origine a grandi narrazioni ricche di fascino, forma e concetto come Le Affinità Elettive di Goethe; o ancora il russo, che già nell’alfabeto stesso mostra una maggior precisione e cura dei suoni, dando quindi allo scrittore stesso una maggior predisposizione per la cura dei dettagli e dell’espressività dei singoli personaggi… e l’elenco potrebbe continuare con tutte le lingue del mondo. Non per forza si deve però usare una lingua piuttosto che l’altra, ma anche più di questa in un’opera solo a seconda dell’uso e dei casi, anche se ovviamente questo diminuisce drasticamente la comprensione del testo.

Qualunque sia l’idea e le sensazioni che volete comunicare, conoscere i punti di forza di una lingua non è un modo per invitarvi a impararne una nuova o a esprimervi in una di cui non avete confidenza, ma nel sapere quali sono i punti deboli e quali quelli forti delle fondamenta del vostro modo di esprimervi, per poterli usare al meglio. Pensateci: le basi della grande letteratura italiana nascono dai dialetti, chiamati “volgari” (nel senso del popolo), ed era la lingua parlata da tutti; ciò che rende grandi opere come la Divina Commedia è l’aver tratto il massimo che potesse offrire la propria lingua madre.



Il vocabolario


Se sulla scelta della lingua da utilizzare quindi non ne abbiamo troppa, abbiamo però la quasi totale libertà su come usarla, modellarla e plasmarla come meglio ci conviene per mettere sul foglio (di carta o digitale) le nostre idee e/o la nostra storia.

Il più comune di questi strumenti è il vocabolario; non la sua vastità, il numero di parole che si conosce, i termini tecnici o quant’altro, ma l’insieme delle parole che si sanno usare e padroneggiare in modo consono per esprimersi in modo efficace. Ovviamente più è ampio più possibilità avete, ma le dimensioni di esso contano poco se non sapete usarlo a dovere: e non si sta parlando di correttezza nell’uso delle singole parole, ma del modo in cui esse comunicano, e questo perché, citando sempre King:

“La parola è solo una rappresentazione del significato; anche nel migliore dei casi, la scrittura resta quasi sempre un passo indietro rispetto al significato”.

- On Writing, Stephen King, pag. 112

Se questo non vi convince, pensate all’efficacia comunicativa dello slang e di come certe poesie lo utilizzino per rendere meglio ciò che stanno descrivendo. Un esempio lampante è la poesia Urlo di Allen Ginsberg, nella quale addirittura rende delle onomatopee, dei verbi, così da conferire al componimento la melodia e la visualizzabilità di cui ha bisogno.

Tenete anche a mente che ogni ricercatezza e ogni tecnicismo, se non necessario, mina la facilità di comprensione e l’immediatezza del testo, entrambe fondamentali per arrivare al cuore e alla mente di ogni possibile lettore.

Prima di passare oltre, vorrei chiudere con un consiglio dato dallo stesso Stephen King sempre tratto dalla stessa pagina della sua autobiografia di mestiere:

“usate sempre la prima parola che vi viene in mente, se è appropriata e colorita”,

che non è un invito ad usare un linguaggio scurrile, ma non perdersi nell’esattezza del termine da usare, perché quasi sicuramente, il primo che trovate comunicherà meglio quello che volete dire rispetto ad ogni artifizio trovato a posteriori (perché, per come la vedo io, ogni cosa post-, ha un che di posticcio o falso). Se non vi convince, allora non è appropriata, e allora riscrivete, ma sempre con la massima spontaneità del pensiero.



La grammatica


Che si può dire della grammatica? È quella che s’impara alle superiori e che, se non si è fatta propria, si può sempre imparare riprendendo in mano un qualsiasi manuale delle scuole medie che tratti di l’analisi logica, quella del periodo e la sintassi, e le varie forme verbali (perché si sentono troppi orrori in giro, soprattutto per quanto riguarda le forme passive, il congiuntivo e il condizionale).

So che può sembrare una cosa noiosissima, ma non è sufficiente conoscere e saper quando usare le parole del nostro vocabolario, perché la comunicazione si compone di tutte le varie parti del discorso (in futuro probabilmente ci farò un post su queste), ma si organizza a partire dalle regole della grammatica sul quale tutti conveniamo: in mancanza di queste regole, si può generare confusione e incomprensione.

Chiunque di voi potrebbe citarmi personaggi che si fanno capire benissimo infischiandosene della grammatica, come Yoda della saga di Star Wars, ma vi sono anche casi di scrittori che, volendola ignorare o plasmare a piacimento, si sono ritrovati in piena crisi su come impostare la frase. Vorrei citare uno degli episodi più noti di Joyce che, trovato riverso sullo scrittoio in atteggiamento di profonda disperazione, nel rispondere a quale fosse la causa, rispose che aveva scritto solo sette parole quel giorno (cosa già buona per lui), ma che non sapeva in che ordine andavano messe.

Questo per dire, con le parole di William Strunk: “Se non è certo di fare bene, [lo scrittore] farà meglio a seguire le regole”, perché “La grammatica non è solo una rogna; è anche il bastone al quale aggrapparvi per rimettere in piedi i vostri pensieri e farli camminare”[1].  

La moltitudine di regole può spaventare, e a leggere libri come quelli dei due autori citati (quello di Strunk, scritto insieme a White, è The Elements of Style) si trovano molti altri consigli e regole come evitare la forma passiva o eliminare ogni avverbio perché il loro uso dimostra la paura di non essere stati chiari, ma vi è sempre il salvagente della grammatica per ogni emergenza: la frase semplice soggetto-predicato, con al massimo il complemento oggetto. Questa costruzione può tirare fuori d’impiccio quando non si trova il modo di dare forma a un pensiero.



Considerazione sulla materia della scrittura


Concludo questo livello con un’analogia, se può esservi utile, di quanto trattato e una piccola considerazione.

Potete vedere le parole come gli atomi (o le molecole) che compongono gli elementi della tavola periodica che è il vostro vocabolario, mentre le regole della grammatica sono i legami che forgiano la materia[2] che risulterà essere il vostro paragrafo scritto (sul perché sia il paragrafo e non il periodo ci spenderò qualche parole quando tratterò il secondo livello). In tutto questo, voi sarete come dei fabbri che forgiano il paragrafo modellando una lega nota, o creandone una nuova, personale, usando magari la vostra intera cassetta degli attrezzi, e non solo il primo livello: perché tale cassetta, in fondo, è solo il bagaglio delle vostre conoscenze applicabili in modo utile e creativo al mestiere di scrivere (o di esprimersi e dialogare in generale); e se siete dei linguisti o esperti di semiotica, come Umberto Eco, perché non dovrete usare le vostre conoscenze per plasmare le parole e la grammatica stessa alle vostre necessità, così come chimici e fisici fanno con la materia composta da atomi e molecole?

Scrivere è comunicazione e, come ogni attività umana, è dunque difficilmente segregabile interamente in regole e discipline senza che vi siano eccezioni o modi per aggirare tali regole, e i libri dei vari Thoman Pynchon e James Joyce sono sempre qui a ricordarcelo.

Ora sta a voi decidere come usare al meglio tale primo livello in ogni momento, non solo per la scrittura, ma anche nel parlato; e se ancora avete dubbi, e volete a tutti i costi ampliare il vostro vocabolario o migliorare l’uso espressivo della grammatica, non vi resta che leggere: leggere molto, di qualsiasi cosa (narrativa e saggistica, prosa e poesia, piuttosto che articoli giornalistici) e in qualsiasi forma (e con questo intendo anche audiolibri, in caso), senza scuse, perché, se non avete tempo e/o non avete l’interesse di leggere cose su l’argomento o il settore di cui la vostra opera tratta, mi spiegate come perché mai volete scriverci su qualcosa?



[1] On Writing, Stephen King, pag. 116
[2] In questa analogia, i legami intramolecolari sarebbero come le regole applicate dall’analisi logica, mentre quelle applicate dall’analisi del periodo, cioè la sintassi, sarebbero i legami intermolecolari: gli apostrofi sono una via di mezzo tra le due cose, esattamente come il legame a ponte idrogeno (o legame H) che si avvicina al legame ionico.

domenica 17 gennaio 2016

La cassetta degli attrezzi dello scrittore 1 - Ideazione e struttura


L’idea alla base


Scrivere è un modo di esprimersi, di comunicare, e può anche essere uno modo di vivere le cose e un mestiere, ma in ogni caso, il testo che ne uscirà sarà comunque una costruzione nostra, in qualche modo artigianale. Per capire meglio quello che voglio esprimere forse è meglio considerare questo aspetto e quindi concepire l’atto dello scrivere come l’esecuzione di un mestiere.

Ogni mestiere per essere eseguito al meglio, richiede l’uso di alcuni strumenti, oltre che allo sviluppo di opportune capacità nell’uso di tali strumenti, e la scrittura non è da meno.

Molti pensano che l’unico strumento dello scrittore siano la penna e il foglio su cui scrivere, ma già molti film mostrano ben altro:

-       una macchina da scrivere, come capita per in Misery;
     -       un moderno computer, come in The Words;
     -       la ricerca dell’ispirazione, come per la camminata in Urlo;
     -       la necessità di assaporare le parole e linguaggio, come ne L’attimo fuggente;
      -       il bisogno di raccontare e di esprimere idee, opinioni e sensazioni;
     -      

In sostanza, poco conta il mezzo con cui si scrive: i veri utensili sono altri.

Stephen King nella sua Autobiografia di un mestiere dedica una parte del libro proprio a questi aspetti, ma prima di capire il perché siano necessari e quale utilità abbiano tali strumenti bisogna soffermarsi prima su una cosa: che cos’è scrivere. King parla di telepatia, certo, ma questo non aiuta a capire quali strumenti servono allo scrittore.

Io mi soffermerei proprio su quello che ho scritto all’inizio: scrivere è comunicare, non con la voce o con i gesti, ma con simboli grafici che rappresentano lettere, sillabe e parole. Con in mente questo, e il fatto che un utensile è utile ad affrontare una data situazione e ottenere un risultato specifico (come un cacciavite è utile per fissare qualcosa in un certo modo, diverso da quanto farebbe un martello), possiamo capire ciò che ci serve in a base anche alle difficoltà che si possono affrontare.

“Quello che voglio dire è che per scrivere al meglio delle proprie capacità, è opportuno costruire la propria cassetta degli attrezzi e poi sviluppare i muscoli necessari per portarla con sé. Allora, invece di farsi scoraggiare davanti un lavoro che si preannuncia complicato, può darsi che abbiate a disposizione l’utensile adatto con il quale mettervi immediatamente all’opera.”

- On Writing, Stephen King, pag. 108

L’esempio che lo stesso King fa in quel libro, è quello di una cassetta a più livelli smontabili simile a quella di suo zio Oren, e la struttura che utilizza è più o meno la stessa. Questa è la sua divisione partendo dal livello più in altro:

1.     Vocabolario e grammatica
     2.     Elementi di stile  (il paragrafo, la lunghezza del libro, etc.)
     3.     Strumenti utili
Concordo abbastanza con questa visione, ma a mio avviso i livelli dovrebbero essere strutturati a loro volta in parti, come le piccole scatolette delle vere cassette degli attrezzi. Inoltre, suddividerei il terzo livello in due: strumenti utili nella scrittura, come cero e proprio terzo livello, e strumenti utili per aggredire il più grande nemico della comunicazione, rappresentato dalla pagina bianca, come quarto livello, dove vi sono quelle tecniche chiamate "di rifocalizzazione" per superare il noto “blocco dello scrittore”.

Mi accingerò nel seguito a mostrare come strutturare e riempire la cassetta degli attrezzi, prendendo ispirazione sempre da Stephen King, ma illustrando il mio punto di vista su come suddividere e ordinare i vari livelli della cassetta: quale logica vi deve esserci per far sì che sia il più funzionale possibile, basandomi su come sto gestendo la mia,



Organizzazione generale


Gli utensili più comuni stanno nel vano superiore per essere sempre a portata di mano e di rapido usi, mentre negli altri livelli ci sono tutti gli attrezzi che si adattano alle varie situazioni e agli ostacoli da affrontare, e sono quelli che caratterizzano il modo di lavorare di uno scrittore rispetto agli altri; la propria “mano”, il proprio modo di comunicare, traspare anche e soprattutto da come si usano gli strumenti comuni, a è la varietà e l’efficacia di ciò che si mette negli altri livelli che farà la differenza (King docet).

Infine, prima di affrontare cosa mettere nel concreto in tale cassetta, è bene tenere presente una cosa fondamentale: sono tutti strumenti, e come tali è bene farne una manutenzione periodica, riesaminarli come se fosse la prima volta che li dovete adoperare, ridare loro di tanto in tanto un nuovo splendore e utilità a quelli arrugginiti, e rimuovendo col tempo e col cambiamento (e la crescente consapevolezza, si spera) quelli che sono diventati obsoleti[1].



[1] Vorrei sottolineare che “obsoleti” non significa ridondanti, perché per combattere la pagina bianca, la ridondanza può essere la nostra salvezza.